Macchina di santa rosa: è successo anche
questo.
- La premessa
A Viterbo
ogni anno, ormai da secoli, il 3 settembre si ripete uno spettacolo unico al
mondo: il trionfale trasporto della Macchina di Santa Rosa.
L’evento,
difficile da descrivere, è foriero di forti emozioni. Si tratta di
un campanile alto circa 30 metri, del peso di una cinquantina di quintali,
composto da un traliccio metallico e decorato architettonicamente
all’esterno con simboli che, il più delle volte, rimandano alla vita della
Santa, vissuta nel XIII secolo.
La torre,
illuminata da fiaccole e luci elettriche, viene portata sulle spalle, di notte
per le vie strette della città attraverso un percorso di poco più di un
chilometro, da oltre 100 uomini vestiti di bianco con una fascia rossa,
nella cinta, chiamati “Facchini di Santa Rosa”.
La mole,
che con la sua altezza supera i tetti delle case, sfila per le vie buie
del centro storico, riverberando la sua luce, oltre che sulle case, su ali
di folla esultante e commossa. La “Macchina” è progettata da artisti o
architetti, per lo più viterbesi. E’ possibile partecipare alla sua
realizzazione aggiudicandosi il bando di gara che viene indetto dal Comune ogni
5 anni.
Per avere
l’esatta dimensione dell’evento non vale nessuna descrizione: deve essere
visto.
Il fatto
Era l’anno
1994 quando una guida informativa sulla Tuscia, scritta da autori inglesi,
dedicava poche righe alla Macchina di Santa Rosa, riducendola ad un semplice
simbolo fallico, portata a spalla da uomini virili, sminuendo in qualche modo
l’aspetto storico culturale e religioso. A Viterbo fu subito polemica: la
stampa locale
per alcune settimane raccolse i pareri, indignati, della
gente. Tutti insorsero. Prima i facchini, successivamente anche politici,
uomini di cultura e semplici cittadini.
La nota
personale
L’argomento
mi “tocca” in modo particolare essendo investito di un doppio ruolo: da
psicologo, in questo contesto, ma anche da artista autore della Macchina
di Santa Rosa “Sinfonia d’Archi” sfilata per le vie della città dal 1991
al 1997.
Argomentazioni e riflessioni
Non dovevano
certo giungere degli autori d’oltre manica per ricordarci che, Freud, nei suoi
primi scritti, tacciò di simbologia fallica tutti gli oggetti appuntiti e con
uno sviluppo in altezza.
Anche se, a
questa affermazione, le contestazioni non mancarono. Carl Gustav Jung,
l’allievo, esclamò riflettendo su alcune teorie del maestro Sigmund
Freud: “non è possibile che Freud interpreti come una sorta di attività sessuale
perfino succhiare il latte dal seno materno da parte del bambino. Non è
possibile che tutto debba essere sempre e comunque ancorato alla sessualità.”
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Dott. Angelo Russo Ideatore di Sinfonia d’Archi
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Era l’anno 1912. Successivamente in seguito a punti di vista sempre più divergenti, le strade dei due grandi della psicanalisi si divisero. Fu per sempre. Freud è riconosciuto universalmente come il più grande nel vasto panorama della psicanalisi. Fu il pioniere.
Ebbe
l’intuito e la genialità di elaborare del materiale che prima di lui era
scarsamente preso in considerazione. Con le sue teorie sconvolse i
concetti di patologia mentale, tanto da incidere in modo rivoluzionario
sulla letteratura che si occupava della personalità e delle differenze
individuali.
Non è
irragionevole l’ipotesi di riconoscere in Jung l’uomo che più di ogni altro ha
saputo ampliare la disciplina psicanalitica, attribuendo ad essa un
significato più esteso, tanto da abbracciare i molteplici aspetti dell’umana
esistenza, rendendo la sua “psicologia analitica” quanto di più ampio e
completo possa esserci nel campo delle scienze del profondo.
Questa
premessa è utile per poter affrontare, con un approccio scevro da fattori
emotivi, l’argomentazione legata a delle affermazioni degli autori inglesi. I
due, poco amati dai viterbesi, avrebbero attribuito alla macchina di Santa Rosa
una “simbologia fallica”, esempio di una cultura maschilista volta alla
dimostrazione della supremazia della virilità.
Anche
leggendo esclusivamente Freud, tale tesi appare a dir poco superficiale o
quanto meno incompleta. Freud nella formulazione della sua teoria parlando
di “fase fallica” riconobbe in essa un momento evolutivo nei due
sessi, correlandola al complesso di Edipo.
Dopo tale
formulazione la letteratura specialistica ha associato un valore al “simbolo
fallico” che comunque va al di là della sola virilità maschile, rappresentando
più ampliamente la virilità trascendente magica e soprannaturale e
non solo la varietà puramente priapica del potere maschile.
E’ troppo
semplicistico e riduttivo, in ogni caso, abbinare simbolicamente a tutti gli
oggetti che hanno una forma che sviluppa in altezza l’interpretazione di
“simbolo fallico”, in tale modo si nega il contesto storico, culturale e
personale. Fu Jung a correlare gli avvenimenti umani alle origini più antiche
che nascono nella notte dei tempi. Per spiegare i fenomeni psicologici si
avvalse, oltre che delle scienze classiche anche della mitologia, oltre che,
dell’alchimia e dell’archeologia.
Si deve a
Jung l‘elaborazione del concetto di “inconscio collettivo” quella
sorta di psiche oggettiva che è composta dagli archetipi. Questi ultimi
rappresentano il materiale strutturante di base, di tale psiche, e tendono ad
assumere spesso un significato mitologico o religioso.
Gli
archetipi ci mettono in condizione di affrontare l’esperienza
secondo modalità conformi ai modelli già presenti nella psiche, inoltre
organizzano anche le percezioni e le esperienze per renderle conformi al
modello. Jung affermava che ci sono tanti archetipi quante sono le
situazioni della vita.
Figure
archetipe: madre, bambino, padre, Dio, Santi, vecchio saggio, ecc. Eventi
archetipici: nascita, morte, separazione dei genitori, corteggiamento,
matrimonio, ecc. E oggetti archetipici: acqua, sole, luna, animali
predatori ecc…
Ognuno di
questi elementi è la parte della dotazione totale che ci è trasmessa
dall’evoluzione allo scopo di equipaggiarci per la vita. Per esempio
intorno all’archetipo della madre si possono trovare immagini religiose e
mitologiche come la “Vergine Maria” dell’immaginario collettivo cristiano,
oltre che le immagini della grande madre pagana.
Non mi
sembra azzardato affermare che, la macchina di Santa Rosa, così ancorata
con la sua tradizione alla vita della Santa, rappresenti nell’inconscio
dei viterbesi, un simbolo di fede, misticità religiosità e amore.
La macchina nei vari secoli si è
innalzata fino a posizionare la Santa ad un’altezza dalla quale potesse
proteggere simbolicamente i Viterbesi. E’ solo in onore esclusivo della
piccola Rosa che il popolo, attraverso gli ideatori e i costruttori che si sono
susseguiti, ha voluto che la statua fosse così in alto, e i facchini,
nonostante il loro immane sforzo, quando escono da sotto la “base” la sera del
3, prima di tornare, stanchi, nelle loro case hanno ancora la voglia di alzare
lo sguardo verso di lei, Rosa, e rinnovare un patto d’amore che dura da secoli.
Dott. Angelo Russo
Ideatore di Sinfonia d’Archi
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